jueves, 31 de julio de 2014

Gaza, Paola Manduca: «Ospedali sotto attacco sistematico»



La professoressa Paola Manduca.
A Gaza, da qualche giorno, la morte che arriva dalla terra e dal cielo non risparmia nemmeno gli ospedali. Anzi, sembra addirittura averli presi di mira.

Per questo medici e scienziati, italiani e inglesi, che hanno lavorato volontariamente nella Striscia negli ultimi anni, e sono stati testimoni oculari delle guerre combattute tra Hamas e Israele, hanno deciso che è arrivato il momento di reagire. E di denunciare quella che ai loro occhi è una «scelta deliberata». Una strategia portata avanti «in modo sistematico» dall’esercito dello Stato ebraico.

In 24 hanno scritto una lettera aperta sulle conseguenze dei bombardamenti e dell’invasione di terra della Striscia di Gaza attualmente in corso. La professoressa Paola Manduca, genetista dell’Università di Genova, è la prima firmataria del documento, pubblicato martedì 22 luglio su The Lancet.

MEDICI SOTTO ATTACCO. Mentre l’offensiva ha già fatto più di 700 vittime tra i palestinesi, e l’Onu ha denunciato «possibili crimini di guerra» compiuti da Israele, Manduca ha raccontato a Lettera43.it cosa significa tentare di salvare vite umane a Gaza e sentirsi sotto attacco.

La professoressa è stata a Gaza a lungo nel 2011 e nel 2012. È tornata nel 2013, e nel 2014 ha trascorso tre mesi all’ospedale al Shifa di Gaza City, il più grande di tutta la Striscia. È rientrata in Italia circa 20 giorni fa, «quando gli israeliani hanno cominciato a bombardare».

DOMANDA. La sua lettera denuncia il numero crescente di ospedali bombardati a Gaza: perché questi attacchi?
RISPOSTA. La nostra opinione, l’opinione di tutti i firmatari della lettera, è che sia una scelta deliberata.

D. Come viene giustificata agli occhi dell’opinione pubblica?
R. Il governo israeliano, attraverso i suoi portavoce, ha affermato ufficialmente che, siccome a loro risulta che sotto gli ospedali ci siano dei bunker che contengono armi, gli ospedali stessi vengono ritenuti obiettivi bombardabili.

D. Tutti gli ospedali, senza distinzione?
R. Alla domanda diretta fatta da un giornalista di Al Jazeera: «Il governo israeliano aveva la certezza che sotto l’ospedale di al Aqsa (bombardato martedì 22 luglio: quattro morti e 40 feriti, ndr) ci fosse qualcosa?», il portavoce ha risposto: «Sul caso specifico devo informarmi con l’esercito». Peccato però che il bombardamento sia avvenuto comunque, e che ci siano dei dati di fatto che smentiscono la versione del governo di Israele.

D. Quali?
R. Per esempio, che nessuno di questi bombardamenti abbia dato luogo a esplosioni secondarie, tipiche di un deposito d’armi colpito che salta in aria. Inoltre, quasi tutti i bombardamenti sugli ospedali che ci sono stati finora hanno colpito i piani centrali delle strutture. Quelli dove in genere ci sono le sale operatorie, i reparti dei lungodegenti. Secondo noi medici firmatari della lettera, c’è ragione di pensare che l’esercito israeliano stia facendo tutto questo in maniera sistematica.
 
D. A che scopo?
R. Spero di sbagliarmi, ma fin dall’inizio del conflitto la propaganda israeliana ha messo in giro la voce che sotto l’ospedale al Shifa di Gaza City, il più grande dell’intera Striscia, ci sono dei bunker dove si sono rifugiati i dirigenti di Hamas. La cosa è poco credibile, ma è stata su tutta la stampa israeliana fin dall’inizio della campagna militare e continua a ritornare. Temo che l’obiettivo possa essere proprio questo.
 
D. Quali sarebbero le conseguenze di un attacco contro l’ospedale di al Shifa?
R. Colpire lo Shifa, oltre a essere un massacro, significherebbe cancellare la classe medica di Gaza. Significherebbe eliminare la possibilità per gli abitanti di Gaza di avere qualsiasi assistenza medica. Perché allo Shifa non vengono portati solo i casi d’emergenza in tempo di guerra, ma vengono curati moltissimi pazienti anche in tempo di pace: cardiopatici, malati in terapia intensiva, e altri ancora. Allo Shifa nascono 50 bambini al giorno, e in quell’ospedale lavorano al momento tutti i medici della Striscia che abitano a Gaza City. Anche quelli normalmente operanti altrove.
 
D. In base alla sua personale esperienza negli ospedali della Striscia, ha mai potuto riscontrare la presenza di armi o di dirigenti politici nascosti al loro interno?
R. Assolutamente no. Quello che ho potuto riscontrare, però, è che quelli di Hamas non sono dei matti.
 
D. In che senso?
R. Io ho lavorato a lungo negli ospedali pubblici della Striscia di Gaza. I medici dello Shifa, anche quelli che fanno parte di Hamas, o che sono simpatizzanti del movimento islamico, non sono dei massacratori. A Gaza esistono infiniti tunnel: secondo lei andrebbero a nascondersi proprio sotto lo Shifa? Se tanti di noi che hanno una contiguità di esperienza e di lavoro con Gaza scrivono certe cose, è perché le abbiamo viste tutti e siamo tutti preoccupati in questo momento.
 
D. Lei era a Gaza anche durante i precedenti conflitti tra Hamas e Israele?
R. Sono stata a Gaza molto a lungo nel 2011 e nel 2012. Sono tornata brevemente nel 2013 e poi di nuovo quest’anno. Nel 2014 sono stata a Gaza per tre mesi, rientrando in Italia circa 20 giorni fa, quando Israele ha cominciato a bombardare. Ero in lista d’attesa per uscire dalla Striscia già da 40 giorni, ma gli egiziani hanno tenuto il valico di Rafah chiuso. Ho dovuto aspettare a lungo il mio turno. A proposito dell’inizio dei bombardamenti, però, c’è una cosa che vorrei sottolineare.
 
D. Prego.
R. Israele ha iniziato a bombardare Gaza lo stesso giorno in cui sono stati rapiti i tre ragazzi poi ritrovati morti in Cisgiordania. Ogni sera, da quel momento in poi, è caduta almeno una bomba su Gaza.
 
D. Dal giorno stesso del rapimento?
R. Sì. Noi eravamo lì: posso testimoniare che Israele ha bombardato Gaza ogni sera. E che per i primi giorni non c’è stata nessuna risposta. Poi hanno iniziato a rispondere al fuoco alcune fazioni armate, ma non Hamas. Hamas è stata l’ultima a sparare. Nella Striscia non c’è solo Hamas e non si può pretendere, come del resto non si pretende in nessun’altra parte del mondo, che Hamas abbia il controllo totale di quello che fanno gli altri sul suo territorio.
 
D. Sta dicendo che Hamas non voleva la guerra?
R. Dico che Hamas è stata così responsabile da non rispondere subito alle bombe israeliane. Perché sapevano cosa sarebbe successo altrimenti e perché Hamas non voleva questa escalation. O quantomeno, non l’ha fatta precipitare. Ha risposto quando ormai le altre fazioni avevano già risposto, e quando i bombardamenti si sono intensificati. A quel punto non c’era più un’altra strada.
 
D. C’è chi sostiene che Hamas si stia spingendo oltre per costringere l’Egitto a fare maggiori concessioni alla causa palestinese.
R. Dal mio punto di vista, non è questione di ottenere delle concessioni. La questione è che al Sisi, dopo aver preso il potere con un colpo di Stato, ha iniziato a bombardare tutti i tunnel. Ne ha distrutti circa 1.700. Da quel momento a Gaza non è arrivato più nulla. Né carburante, né materiali da costruzione, né cibo, né medicine: nulla.
 
D. Perché i tunnel sono così importanti per Hamas?
R. L’economia di Gaza, per almeno due anni, è stata mediamente tollerabile solo grazie ai tunnel. Sia per le merci, che in questo modo riuscivano a entrare e a uscire dalla Striscia, sia perché su quei tunnel, dopo l’iniziale fase di sviluppo spontaneo, sono state messe delle tasse. Una dogana. Il governo di Hamas ha potuto pagare i suoi dipendenti perché ha ricavato delle entrate autonome attraverso i tunnel.
 
D. In quali condizioni lavorano i dipendenti pubblici di Gaza, medici compresi?
R. A partire dal 2007, dopo la separazione da Hamas, i dipendenti pubblici che erano di al Fatah, in una certa percentuale che varia a seconda dei settori, ma che nell’ambito medico per esempio è stata del 27%, si sono rifiutati di andare a lavorare. Il governo di Ramallah ha continuato a pagarli lo stesso per sette anni, fino alla riunificazione. I dipendenti pubblici di Hamas hanno preso per anni uno stipendio più basso degli altri, di quelli che per sette anni non hanno lavorato e che, con la riunificazione, hanno anche ottenuto delle promozioni.
 
D. Di che cifre stiamo parlando?
R. Io ero in ospedale quando c’è stata la riunificazione. Ero in compagnia di alcune mie colleghe: due impiegate del governo di Gaza, e una pagata invece da Ramallah. Quest’ultima aveva uno stipendio di 900 dollari al mese, le altre di 300 dollari.
 
D. E adesso che i tunnel vengono distrutti, come farà Hamas a pagare gli impiegati?
R. Immediatamente, nel momento in cui sono venuti meno i soldi dei tunnel, sono mancati anche i soldi per pagare i dipendenti pubblici. A Gaza hanno lavorato da novembre fino a marzo percependo la metà dello stipendio. Da marzo in poi moltissimi non lo hanno più ricevuto. E parliamo di persone che andavano a lavorare tutti i giorni.
 
D. Israele però sostiene che bombardare i tunnel sia necessario, per fermare l’arrivo dei pezzi usati per costruire i razzi.
R. È sicuramente possibile che attraverso i tunnel arrivi anche materiale bellico. Ma perché ogni Paese del mondo può avere le sue forze armate e i palestinesi no? I palestinesi di Gaza hanno rispettato la tregua firmata a novembre 2012. Da allora Hamas non aveva più sparato contro Israele. Perché non gli è concesso avere un esercito regolare?
 
D. Quali sono le patologie principali di cui soffrono gli abitanti della Striscia e che non possono essere curate adeguatamente?
R. Come tutte le popolazioni, anche quella dei palestinesi di Gaza ha le sue inclinazioni: un alto livello di diabete e di malattie cardiache. Ma le patologie che non possono essere curate adeguatamente sono moltissime. Per esempio, prendiamo le malattie croniche, siano esse dei bambini, dei giovani o degli anziani. In assenza di un rifornimento costante di medicine, il malato cronico per un po’ si cura, finché durano le scorte. Quando poi le medicine mancano, la terapia viene sospesa per forza. Un altro grave problema è quello delle patologie collegate alle abitudini alimentari
 
D. Carenza di cibo?
R. Non solo. Il fatto è che gli abitanti della Striscia di Gaza mangiano quello che gli viene dato da mangiare da Israele. Quello che Israele decide di fare entrare. Questo è stato vero finché con i tunnel non sono iniziati gli arrivi di generi alimentari dall’Egitto. Adesso che dall’Egitto non arriva più nulla, al mercato la situazione è desolante.
 
D. Non potrebbero coltivare o pescare di più?
R. Il 40% dei terreni agricoli di Gaza sono diventati indisponibili a causa della buffer zone imposta da Israele. E gli abitanti della Striscia non possono più nemmeno pescare, perché hanno il limite delle tre miglia e perché le acque sono contaminate. A causa della mancanza di elettricità, i tre depuratori presenti in tutta la Striscia non funzionano. Il mare di Gaza è bellissimo da vedere, ma è meglio non avvicinarsi.
 
D. Quali sono le conseguenze del regime alimentare forzato?
R. Diffusi difetti di crescita nei piccoli, che crescono più lentamente del normale. Anemia, nelle madri e nei bambini. In generale, l’alimentazione della gente povera di Gaza non è affatto equilibrata.
 
D. Lo scontro armato non poteva essere evitato?
R. La domanda giusta, secondo me, è un’altra. Come mai a Gaza, nonostante tutto questo, non c’è nessuno che si sia dichiarato contrario alle azioni di resistenza di Hamas e degli altri gruppi armati? A Gaza sono tutti dalla parte della resistenza. La sensazione condivisa è: «Questa volta andiamo fino in fondo, perché non abbiamo altra scelta. Le abbiamo provate tutte, compreso il governo di riconciliazione».
 
D. Perché non ha funzionato?
R. Il governo di riconciliazione è stato, a mio parere, un tentativo politico serio per non entrare in guerra. Ma non appena è stato fatto, Israele ha deciso di attaccare. Fra l’altro, noi non sappiamo ancora chi abbia rapito i tre ragazzi israeliani la cui morte è stata la scintilla della guerra. In ogni caso, in tutti i Paesi del mondo, un fatto del genere sarebbe stato affrontato con gli strumenti della polizia giudiziaria. Mentre, fin da subito, Israele lo ha trasformato in un casus belli.
 
D. Rispetto agli attacchi contro gli ospedali della Striscia, la classe medica israeliana si è mai mostrata solidale?
R. In Israele c’è un piccolo gruppo, che si chiama Physicians for human rights, che è solidale da sempre con i medici che lavorano nella Striscia. Io li ho conosciuti nel 2006, però credo davvero che siano una minoranza molto esigua.
 
D. E il mondo della cultura, gli accademici?
R. Un collega, nei giorni scorsi, ha scritto un appello rivolto agli accademici israeliani per un boicottaggio culturale dell’aggressione militare. Chiedeva ai docenti universitari di pronunciarsi sulla guerra. Ebbene: su 1.000 destinatari, solo 52 hanno risposto dissociandosi dal governo. Il 5%. Non sono tutti medici, ovviamente. Però la fotografia è questa. E nonostante ciò, le università israeliane sono le uniche non europee che possono partecipare ai progetti di ricerca finanziati dall’Unione europea. Come se la scienza fosse un campo neutro, quando invece non lo è affatto.
 
D. Quando prevede di rientrare a Gaza?
R. Per ora la Striscia è chiusa. C’è stato un tentativo di alcuni colleghi chirurghi, che hanno provato a passare, ma non sono riusciti a entrare. Non è stato fatto entrare nessun convoglio umanitario che non fosse governativo o delle Nazioni unite, da quando è iniziata l’aggressione di terra. Ci sono medici palestinesi all’estero da anni che andrebbero volentieri a dare una mano in questo frangente. Il loro lavoro sarebbe preziosissimo, ma non vengono fatti entrare. I chirurghi che lavorano in ospedale, sotto le bombe, fanno quello che possono. E non hanno nemmeno il tempo per raccontarlo.
 

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